sabato 16 maggio 2015

Il mulino di San Rocco di Dovera



Il mulino ancora osservabile nella località di San Rocco di Dovera fu verosimilmente costruito, stando alla tradizione, nel XV secolo.
Di proprietà dei fratelli Granata dal 1850, esso venne affittato alla famiglia Codazzi fino al 1950, anno in cui subentrò come affittuaria la famiglia Sari. Quest’ultima ne divenne proprietaria nel 1956.
Una recente ristrutturazione ad opera dell'ingegner Giovanni Pedrazzini, ha consentito la possibilità di rivedere ai giorni nostri un'opera della tecnica lombarda.


L’acqua che muove la ruota del mulino proviene da due diverse rogge che incrociano le loro acque in prossimità dell’impianto: da sinistra giunge la roggia Chignola vecchia, che ripete il nome di una cascina poco lontana; da destra la roggia Dovarola, proveniente da Dovera.


 La manutenzione delle due rogge viene eseguita a mano periodicamente dagli agricoltori che ne hanno acquisito il diritto d’uso. Dopo il passaggio nella ruota, che avviene senza salto d’acqua e secondo il sistema detto “per di sotto”, l’acqua confluisce, attraverso una paratoia, nel fiume Tormo.

La ruota, di circa 7 metri di diametro e 80 centimetri di larghezza, ha una potenza di 14 cavalli.

Oggi il mulino lavora, sotto la direzione del mugnaio nonché proprietario Antonio Sari, per circa due ore al giorno, ossia quanto basta per produrre i quantitativi di farina integrale di granoturco occorrente all’alimentazione giornaliera dei suini allevati all’interno del complesso rurale. Fino al 1956 il mulino era adibito anche alla pilatura del riso, ma l’attività è stata interrotta per motivi di concorrenza economica.


La pila ora non esiste più, ma sono rimasti nel cortile della cascina alcuni blocchi di pietra traforati dai tipici vani a olla, a testimonianza dei pestini da riso utilizzati in passato.


Fino agli anni Settanta del secolo scorso il mulino produceva anche farina di frumento, proveniente da campi di proprietà dell’azienda stessa. Il mulino di San Rocco è un fabbricato di due piani che si sviluppano lungo il corso della roggia. La costruzione continua ad est con la cascina annessa che chiude un ampio cortile.


 Di pertinenza del vecchio mulino è il porticato per il riparo dei carri. Esternamente è rimasta una sola delle tre ruote di ferro che un tempo formavano l’impianto.


La ruota, di circa 7 metri di diametro e 80 centimetri di larghezza, ha una potenza di 14 cavalli. L’interno dell’impianto presenta una macina (due palmenti) per mais tuttora funzionante, mentre nel locale attiguo si trova, inutilizzata, una grande molazza, forse adibita in passato alla produzione di olio.



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L’eccezionale recupero è stato realizzato per la società Energyca di Codogno dall’ingegner Giovanni Pedrazzini.
Il mulino Sari a San Rocco rinasce come centrale idroelettrica.

E’ tornata a girare la vecchia ruota del mulino Sari di San Rocco di Dovera. Merito del committente, la Società Energyca di Codogno, e dei suoi proprietari, che hanno creduto nel progetto di recupero. Merito soprattutto dell’ingegner Giovanni Pedrazzini, il padre dei nuovi mulini che, pur mantenendo le sembianze originarie di due secoli fa, oggi funzionano producendo energia pulita. Il risultato della comunione d’intenti fra Energyca, i Sari e l’ingegner Pedrazzini è sotto gli occhi di tutti, nella piccola frazione a due passi da Dovera. E rappresenta un esempio di perfetto recupero di uno dei tesori dell’economia lombarda: in tempi di crisi e di globalizzazione sfrenata, ridare vita a queste vecchie ruote, i cui ingranaggi sono levigati dal tempo e dalla laboriosità dell’uomo, rappresenta un investimento eccezionale. Un pezzo dell’economia e della tecnologia lombarda è dunque tornato a funzionare e questa è una vittoria per il territorio e per le nuove generazioni, che avranno modo di vedere da vicino, in tutto il suo splendore, il rinato mulino Sali. n un borgo preziosoIl suo “restauratore”, l’ingegner Pedrazzini della Ser.Ge.M.A. di Guardamiglio, è entusiasta. E propone di accompagnarci al vecchio mulino. L’appuntamento è davanti alla chiesa di San Rocco. Percorriamo la vecchia statale 235 fino a Fontana, poi giriamo a sinistra in una stradina asfaltata che si intrufola nei campi. I fossi ai lati della strada, la carreggiata strettissima, l’assenza di cartelli e indicazioni: forse è anche per questo che San Rocco di Dovera ha mantenuto tutto il suo fascino rurale. Arriviamo alla chiesetta, una pieve di campagna che custodisce tesori pregiati (vedi i lavori del Piazza) e troviamo l’ingegner Pedrazzini. Il restauratore dei mulini è pieno di entusiasmo, è un fiume in piena. Ci mostra da fuori il mulino della famiglia Sari e indica la roggia Dovarola che mette in movimento la grande ruota rimessa a nuovo. «È acqua purissima - avverte l’ingegner Pedrazzini -, arriva da una risorgiva. Proprio per questo la sua temperatura non scende mai sotto i dodici gradi centigradi e quest’inverno, quando la campagna era gelata, ci ha regalato uno spettacolo davvero impagabile: da un lato le temperature esterne sotto lo zero, dall’altro la grande ruota che pescava l’acqua della roggia, sopra lo zero, e che per questo sprigionava una grande nuvola di vapore che investiva l’esterno del mulino». n un simbolo di famiglia. La ruota è il simbolo della famiglia Sari. Ha funzionato fino all’inizio degli anni Ottanta, poi il progresso l’ha messa da parte ed è arrivata fino al nuovo millennio con più di un acciacco. «L’ho studiata a lungo - dice l’ingegner Pedrazzini - e mi sono reso conto che siamo di fronte a una ruota di Victor Poncelet, celebre professore francese di meccanica applicata presso l’arsenale di Metz e ufficiale dell’esercito napoleonico». Una storia affascinante, senza dubbio. Cosa ci faceva Poncelet in mezzo alla pianura Padana, in un posto che anche oggi è costituito da qualche cascinale, una piccola pieve e quattro case? «Poncelet era ufficiale dell’esercito - ribadisce Pedrazzini - e nel 1796, durante la campagna d’Italia, una colonna di francesi ha rincorso gli austriaci in ritirata. Probabilmente la ritirata austriaca passò da queste parti. È inoltre probabile che i francesi si fermarono proprio a San Rocco di Dovera ed è testimoniato dagli ex voto nella chiesetta. Fatta questa premessa - aggiunge Pedrazzini - passiamo alla ruota del mulino, che ha una paratoia identica a quella progettata da Poncelet. Sono convinto che la ruota di Poncelet, distinguibile dalle altre proprio per il particolare della paratoia, sia stata applicata a San Rocco. E infatti accanto alla ruota, su una pietra, è incisa una data: 1802, esattamente sei anni dopo il passaggio dell’esercito francese». n un recupero prodigiosoOggi, visto dall’esterno, il mulino mostra tutto il suo fascino. La ruota è stata recuperata alla perfezione, rispettando le tecnologie di due secoli fa e arricchendola con delle chicche della tecnica moderna che sono comunque quasi invisibili, o perché piccolissime, o perché integrate all’interno di una struttura antica. Il risultato, come detto, è a prima vista eccellente. È un libro aperto sulla vita nei campi, potrebbe essere considerato un vero museo, sebbene il recupero del mulino non sia stato realizzato per questo scopo preciso. n una tecnologia anticaAlla base del restauro e della conversione in centrale idroelettrica c’è uno studio approfondito, che ha portato l’ingegner Pedrazzini a sfogliare testi tecnici ormai quasi introvabili. Per capire come funzionava la ruota di Poncelet è stato alla Biblioteca dell’università di Pavia e ha allargato i suoi orizzonti alla Spagna. «Ho ricevuto una lettera da una libreria di libri antichi di Comellas, a Barcellona, l’unica che aveva ancora qualche copia del libro di Poncelet - rivela Pedrazzini -, così me lo sono fatto immediatamente inviare e ho passato un’estate, sulle montagne di Cortina, nel Cadore, a studiare quel testo, scritto in un francese meraviglioso». Dopo lo studio, la ruota ammalorata è stata smontata e portata in officina. Era il luglio 2007. «A settembre erano pronti i disegni delle nuove palette - spiega Pedrazzini - poi abbiamo rifatto l’albero, i cuscinetti. Una volta ultimata, la ruota è stata rimontata sul vecchio mulino. Ricordo ancora quella giornata, con un tempo da lupi. Facciamo però un passo indietro - aggiunge - il lavoro mi è stato commissionato nel 2007 dalla ditta Energyca di Codogno, da un giovane ingegnere, Bruno Biffi. Inizialmente si pensava a rimettere in vita il mulino dotandolo di una turbina per la produzione di energia elettrica da vendere all’Enel. Poi, con un coraggio da leoni, abbiamo deciso invece di riportare il mulino alle sue origini, di sistemare la ruota di Poncelet del 1802 e di produrre energia sfruttando un salto d’acqua quello della roggia Dovarola, di 2 metri e settanta centimetri, con una portata variabile fra gli 80 e i 650 litri». Oggi quell’idea ambiziosa è una splendida realtà. «L’impianto elettrico è come quello di una centrale idroelettrica, è identico - afferma soddisfatto l’ingegner Pedrazzini - la ruota del mulino usa la trasmissione originale e mette in azione una generatrice asincrona che è collegata alla rete elettrica. La potenza massima è di undici kilowatt. Possiamo produrre circa 50mila chilowattora all’anno». Dal mulino che un tempo produceva farina, oggi si genera corrente, che viene venduta all’Enel. Il tutto nel rispetto della struttura originaria. Ma c’è di più, perché se la famiglia Sari lo volesse, anche oggi potrebbe rimettersi a macinare il grano come faceva due secoli fa. n un meccanismo perfetto. L’interno del mulino, con tutti i macchinari collegati alla ruota, è infatti rimasto intatto e funzionante. Vedere girare gli ingranaggi silenziosissimi, mossi dalla Dovarola, è qualcosa di unico. Superato il grande portone del mulino si accede a un mondo magico, che la famiglia Sari sta in parte ristrutturando per adibirlo a agriturismo. Il restauro, però è rispettoso dell’assetto originario della corte e gli ambienti profumano di antico. In un futuro non troppo lontano sarà possibile pranzare accanto al mulino, vedere gli ingranaggi che silenziosi girano, producendo energia pulita. A regolare l’acqua che alimenta la ruota del 1802 è stato installato un sofisticato sistema computerizzato, che muove la paratoie: un sistema che però è integrato nel mulino e quasi non si nota. E forse, anche quest’ultimo accorgimento, la dice lunga sulla bontà del restauro, che ha regalato a Dovera, ma in generale a tutto il territorio, un vero gioiello della tecnica lombarda.
Fonte: Il Cittadino
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Fonte:
- http://ecomuseo.provincia.cremona.it/resource/documents/quaderno3.pdf;
- Il Cittadino.

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