lunedì 7 maggio 2012

Museo Paolo Gorini





   ...... "I nostri vecchi", scriveva ancora Piera Andreoli nel 1931 - "lo ricordavano come un uomo alto, scarno, con gli occhi profondamente infossati, nerissimi; fronte alta, capelli candidi, lunghi e svolazzanti, barba ondulata e copiosa".    


Per quasi mezzo secolo infatti la figura di Gorini era stata molto popolare e conosciuta nella Lodi del tempo. La collezione Gorini è ubicata nel cuore dell'Ospedale Vecchio, con accesso da via Agostino Bassi 1, nel lato sud del chiostro quattrocentesco.



Il museo Gorini intende portare a conoscenza del pubblico i preparati anatomici, predisposti dall'illustre ricercatore.

La valorizzazione della Collezione Gorini è frutto di un'intesa tra l'Azienda Sanitaria Locale (proprietaria della collezione) e il Comune di Lodi, che ne ha acquisito la gestione, affidando a personale della Pro Loco la vigilanza negli orari di apertura al pubblico, garantendo in questo modo l'accesso stabile e continuativo.

Rinnovata nell'allestimento, la collezione sarà visitabile gratuitamente per tre giorni alla settimana e dietro prenotazione di guide appositamente formate al di fuori del programma orario sotto indicato.

Per l'occasione è stato realizzato anche un nuovo catalogo della collezione, curato dal Prof. Alberto Carli, di cui verrà fatto omaggio ai visitatori; (c'è un articolo del 2008 dedicato al Prof. Carli su "Il Giornale"- per vederlo cliccate quì

Clicca qui per accedere alla pagina del Comune di Lodi e scaricare la Guida Storica alla Collezione Anatomica "Paolo Gorini" (838.54 KB - file pdf).














A ricordo della variegata e singolare sua opera la città di Lodi gli ha dedicato una via, una lapide, una scuola ed una statua eretta in pietra dallo sculture lodigiano Primo Giudici ed inaugurata, dopo lunghe e travagliate vicende, il 30 aprile dell'anno 1899







Secondo di sette fratelli, Paolo Gorini nacque a Pavia il 29 gennaio del 1813, figlio di una giovane donna d'origini lodigiane e di Giovanni Gorini, personalità illustre del panorama culturale pavese, professore di ginnasio prima e docente universitario poi.


Fin dagli anni della loro prima infanzia, Paolo e i fratelli furono educati allo studio costante delle più importanti branche del sapere e fu proprio il giovane Paolo a dimostrarsi molto intelligente e "curioso" del mondo: frequentato il ginnasio di S.Salvatore a Pavia e poi entrato nella scuola pubblica, iniziò molto giovane ad affinare la sua innata passione per le scienze sperimentali. Nel 1825 morì, in tragiche circostanze, Giovanni Gorini. Per Paolo, saldamente legato alla figura paterna, e la sua famiglia, iniziò un periodo di grave difficoltà e ristrettezze economiche, ma questo non gli impedì di recarsi a Brescia per continuare lo studio della matematica, materia che esercitò una grande importanza nella sua successiva formazione ed iniziò a farlo conoscere nei gabinetti scientifici delle più importanti città lombarde. Nel 1828 terminò brillantemente gli studi al collegio Ghislieri di Pavia e nel 1833 ottenne la laurea dottorale in fisica e matematica. Nel 1834 avvenne la svolta che segnò per sempre la vita di Gorini: vinto un concorso pubblico per una cattedra di insegnante di scienze naturali si trasferì a Lodi, città alla quale rimase indissolubilmente legato per il resto della sua vita. E' qui che iniziò lo studio di quelle scienze che lo resero famoso al grande pubblico, la vulcanologia e la geologia prima e gli studi sulla mummificazione e la cremazione poi, ed è qui che si concretizzarono tutte le sue scoperte più importanti. Tra Gorini e la città di Lodi si instaurò un profondo legame, un sincero rispetto vicendevole, una lealtà reciproca che non venne mai meno. (Emblematico un episodio: nel 1857, quando Gorini rassegnò le dimissioni dal suo ruolo di insegnante, soprattutto per coerenza alle sue idee politiche - si rifiutò di insegnare in un collegio trasformatosi in Imperial Regio, sotto stretto controllo dell'autorità austriaca -, la municipalità di Lodi e i semplici cittadini intervennero in suo aiuto disponendo sussidi economici a suo favore).

La particolare, e per certi aspetti eccentrica, figura di Paolo Gorini si manifestò in tutta la sua peculiarità fin dagli albori della sua attività scientifica. Ad esempio, applicandosi nel campo della matematica, quella pura in particolare, affermò - anche se poi studiosi posteriori lo smentirono - di essere arrivato alla presunta soluzione dell'ultimo teorema di Fermat, annoso problema matematico che da lungo tempo affascinava studiosi di tutta Europa. Fu soprattutto nel campo della geologia, però, che Gorini iniziò a diventare noto al grande pubblico, conquistandosi il rispetto di eminenti studiosi del tempo. Totalmente isolato dal resto della comunità scientifica, soprattutto a causa di una situazione economica abbastanza precaria che lo impossibilitava sia a viaggiare che a comprarsi i libri dei più eminenti scienziati del tempo, e in rapporti abbastanza blandi con i gabinetti scientifici lombardi in particolare e italiani in generale, riuscì tuttavia ad applicarsi allo studio delle scienze della terra con grande dedizione e rigorosità. Si cimentò in un'originale teoria tettonica, compì numerosi studi e sviluppò teorie sull'orogenesi, ma soprattutto si cimentò nella "geologia sperimentale". Il concetto di fondo era molto semplice: apprese le nozioni ed i processi fondamentali della formazione delle montagne sarebbe stato possibile far nascere una montagna in laboratorio, seppur di dimensioni più modeste... Con queste sue stravaganti idee, seppur scientificamente rigorose, non tardò a farsi una nomea di scienziato "pazzo", sebbene a Lodi e dintorni il rispetto e la stima nei suoi confronti crescessero contestualmente al diffondersi delle sue teorie. Paolo Gorini scelse dimora eletta per i suoi esperimenti un laboratorio presso S. Nicolò, un posto "magico", ricco di suggestioni e atmosfere: lo scienziato lavorava immerso in un ambiente in costante penombra, circondato da crogioli e fornaci che ne mettevano a serio repentaglio l'incolumità quando esplodevano con fragorosi boati, liberando odori pestilenziali e sostanze di dubbia composizione.

Ingredienti delle alchimie di Gorini erano zolfo, elemento base al quale venivano aggiunti olii, estratti di limone, canfora, tabacco, cipolle, varie sostanze chimiche e... pezzi di cadaveri precedentemente trattati. Nonostante indubitabili "stranezze", Paolo Gorini seppe imporre le proprie teorie in campo geologico, creando veramente montagne e vulcani dal nulla, seppur di modesta entità e dimensione, semplicemente sperimentando e migliorando le sue teorie volta per volta (esistono fotografie e stampe d'epoca che testimoniano, in più occasioni, questi esperimenti tentati per le vie di Lodi, davanti agli sguardi esterrafatti e ammutoliti dei passanti).

 Proprio la sua crescente fama lo portò a stringere rapporti con il conte Luigi Cibrario, ministro di stato e segretario del re, che riuscì a fargli avere una pensione dall'Ordine dei Santi Maurizio e Lorenzo e il titolo di cavaliere dell'Ordine d'Italia. Anche grandi patrioti come Garibaldi, Bixio e Missori iniziarono a stringere stretti rapporti con lui. Più in generale, la sua fama lo portò sempre più in contatto con esponenti del notabilato lombardo, gente illustre e importante soprattutto negli ambienti scientifici. La nomea di personaggio stravagante però non lo abbandonava. Soprattutto bigotti in stretti rapporti con l'autorità ecclesiastica non perdevano occasione per criticare e denigrare la sua attività e ben presto iniziò anche a diffondersi la notizia che, bussando alla porta del suo laboratorio, si poteva venir accolti da una delle sue mummie...
Nel 1842 iniziò l'attività sperimentale finalizzata alla ricerca di un metodo scientifico che garantisse la conservazione dei corpi animali, cosicché fosse evitato il progresso di putrefazione. Per Gorini le potenzialità insite in una tale scoperta sarebbero state immense: si sarebbe potuto conservare integralmente un cadavere per scopi scientifici o di ricerca, si sarebbe potuto conservare la carne rendendola commestibile più a lungo, si sarebbe permesso ai congiunti di conservare l'immagine "viva" del caro estinto, si sarebbero potute creare delle "opere d'arte" da tramandare ai posteri. Occorre fare una precisazione: Gorini non si dedicò allo studio di veri e propri processi di imbalsamazione ( operazione tendente a conservare i corpi dopo la morte con procedimenti fisici, chimici e biologici mirati a sottrarre forti quantitativi di liquidi dal cadavere per inibire i processi di decomposizione, mantenendo il più possibile intatta la fisionomia) quanto allo studio e alla ricerca di un metodo di pietrificazione (sostituzione dei liquidi corporei con sali destinati a solidificarsi col tempo), giudicata migliore per raggiungere gli scopi che si era prefissato.

16 teste d’uomo e 5 di donna complete di occhi, pelle, denti, capelli, lingue; due di bimbi distrofici e idrocefalici; una di infante con chiazze angiomatose; una di neonato all’apparenza sano; il tronco completo di un soggetto acromegalico; e poi arti deformi, cuori, cervelli, cavità orbitarie, vasi del collo, articolazioni, vesciche, uteri, organi genitali.
(citazione da:  http://www.ilgiornale.it/interni/sono_custode_cimitero_dei_morti_tramutati_pietre/22-06-2008/articolo-id=270834-page=0-comments=1) 




















L'intraprendere un'attività così particolare non poteva non creare una serie di problemi da risolvere. Si trattava innanzitutto di trovare un luogo abbastanza ampio, poco costoso, isolato dalla città e abbastanza vicino all'ospedale per potersi rifornire con facilità di cadaveri freschi. Ma problemi maggiori erano legati a questione di carattere sanitario e etico-religioso.


L'autorità sanitaria di Lodi non poteva tollerare che corpi di defunti e resti umani venissero maneggiati per stravaganti finalità scientifiche. Il rischio di causare epidemie era più che concreto e i divieti e limiti imposti all'attività di Paolo Gorini poterono essere superati solo con l'accondiscendenza di funzionari corrotti o l'aiuto disinteressato di medici, amici dello scienziato, che, sfidando le autorità, lo rifornivano continuamente.

Ma ben maggiore era l'opposizione della chiesa lodigana. Questioni di ordine etico venivano ribadite con forza per sostenere la "peccaminosità" degli atti empi perpetrati dal Gorini sulle spoglie mortali di coloro che in vita erano stati, nella maggior parte dei casi, cristiani credenti e praticanti. Le autorità ecclesiastiche non potevano tollerare quello scempio, contrario, a loro giudizio, ai dettami evangelici e, nell'impossibilità di fermare le ricerche scientifiche dello scienziato con argomentazioni religiose o morali, non esitarono a denunciarlo al governo austrico nel corso del 1843. Tuttavia, sul piano concreto, l'azione delle autorità si dimostrò più che altro simbolica e gli esperimenti di mummificazione poterono continuare, pur tra inevitabili problemi logistici da superare, mentre, nel contempo, si affinavano le alchimie e gli studi sulla pietrificazione. Gorini si riforniva all'ospedale di Lodi, riuscendo ad ottenere soprattutto i cadaveri di sbandati, vagabondi o poveri contadini le cui salme non venivano richieste dalle rispettive famiglie per la celebrazione dei funerali. Inoltre riuscì anche ad ottenere i corpi deformati dalle più svariate malattie di bambini e ragazzi, la cui pietrificazione sarebbe poi servita, a suo giudizio, per creare modelli anatomici per lo studio e la ricerca.

Sono 131 reperti, inclusi 6 corpi di neonati mummificati, di cui due a braccia conserte, in opposizione alle dita intrecciate dell’eterno riposo cristiano, forse per celebrare la morte laica figlia degli ideali positivistici e massonici dell’Ottocento, e uno in ginocchio, a mani giunte, forse per invocare un battesimo di desiderio che scampasse l’infelice vittima dal limbo. (citazione da:  http://www.ilgiornale.it/interni/sono_custode_cimitero_dei_morti_tramutati_pietre/22-06-2008/articolo-id=270834-page=0-comments=1) 

Proprio per questo motivo riuscì ad accattivarsi le simpatie di alcuni medici ed infermieri che, sfidando in più di un'occasione le autorità, non smisero mai di aiutarlo, sostenendo come meglio potevano la sua attività di ricercatore, soprattutto per le indubbie finalità pratiche che questa avrebbe potuto arrecare al mondo scientifico. Col tempo gli studi e gli esperimenti sulla pietrificazione raggiunsero livelli molto elevati, tanto che Paolo Gorini poteva a buon diritto vantarsi di aver raggiunto i suoi scopi: garantire l'integrità dei corpi e preservare molto a lungo nel tempo la mummificazione. Il sistema per arrestare la putrefazione dipendeva molto dalla capacità di agire sui liquidi organici del corpo, alterandoli chimicamente.

Il procedimento di pietrificazione può essere sintetizzato in questi punti fondamentali:

1) Definizione delle sostanze più idonee al fine preposto, da scegliersi accuratamente in quantità e dosaggio adeguato ai corpi da pietrificare.
2) Sperimentazione su parti di cadavere del procedimento per poi passare alla pietrificazione vera e propria sul corpo intero.
3) Immersione del corpo, per un periodo variabile di diversi giorni, in un liquido particolare contente i sali per la pietrificazione, affinchè questi siano assorbiti dai tessuti, sostituendosi lentamente ai liquidi organici.
4) Conservazione, della durata massima di parecchi mesi, dei corpi così trattati. Questi si dimostravano flessibili e sezionabili per molto tempo, non presentando i sintomi tipici di rigor mortis.
5) Per arrivare alla pietrificazione vera e propria il cadavere doveva essere essicato, dopo aver causato, attraverso vari procedimenti chimici, una drastica diminuzione del volume corporeo.

L'opera di Paolo Gorini non tardò ad avere una certa eco anche fuori dai ristretti confini lodigiani. Ne è prova il fatto che venne chiamato più volte a mummificare le spoglie di personaggi molto famosi: mons. Gaetano Benaglia, ex vescovo di Lodi, da sempre affascinato dalle arti di Gorini nonostante il suo importante ruolo all'interno della chiesa, e Giuseppe Mazzini. Nel 1872 Gorini iniziò a mutare prospettiva: dopo una vita dedicata a scoprire i mezzi più adatti ad evitare lo scempio della decomposizione dei cadaveri ricorrendo a complicati procedimenti che mantenessero contemporaneamente i corpi nel modo più similare possibile al loro spetto in vita, decise di trovare il modo di distruggere le spoglie umane prima del sopraggiungere della putrefazione. Dapprima inventò un "liquido plutonico" che sciogliesse letteralmente i corpi, ma questo procedimento venne presto abbandonato perchè esageratamente costoso e troppo complicato da realizzarsi, poi si dedicò allo studio delle tecniche di cremazione/combustione, arrivando anche ad inventare e brevettare il moderno forno crematorio. L'interesse goriniano in questo campo non è da ascriversi a sole preoccupazioni scientifiche, ma a più sostanziali questioni igienico-sanitarie. Trovare un metodo per scongiurare il sovraffollamento delle salme nei cimiteri e per preservare la città dei vivi da quella dei morti (dopo l'editto di Saint Cloud del 1804 era fatto obbligo ai comuni di costruire i campisanti oltre il recinto delle abitazioni, ma, a fine Ottocento, erano ancora molto numerosi le città e i paesi che avevano i cimiteri accanto alla piazza principale o di fianco alla chiesa parrocchiale) era avvertito da Gorini come una sorta di dovere morale al quale lui, come scienziato, non poteva sottrarsi, soprattutto per le grandissime implicazioni sociali e igieniche in gioco. Decisi ostacoli alla sua opera e alle sue ricerche vennero ancora una volta dall'autorità religiosa. Era inconcepibile che un dono di Dio, le spoglie mortali un tempo animate dal soffio vitale dell'anima, fossero annientate in questo modo. Inoltre anche più sostanziali considerazioni di ordine teologico rischiavano di essere messe seriamente in dubbio ammettendo la legittimità della cremazione. Tuttavia i progressi fatti da Gorini in questo campo non si arrestarono: nel 1875 venne eseguita a Lodi la prima cremazione e il 6 settembre del 1877 venne inaugurato al cimitero di Riolo il Crematorio Lodigiano, primo esempio concreto di forno crematorio moderno. Oltre le sue esperienze in campo scientifico, Gorini fu attivo patriota durante il periodo Risorgimentale. La sua salute malferma gli impedì di prendere parte attiva alle battaglie contro gli austriaci, ma non per questo rimase estraneo alle attività cospirative. Intellettuale più che uomo d'azione, non esitò a proporre teorie e ad ideare strategie di lotta, soprattutto nel 1848 quando prese parte, elaborando un modernissimo e complicato sistema di mine "radiocomandate", alla difesa di Lodi dopo la riconquista austriaca di Milano. Il suo ideale politico era grandemente influenzato dalle teorie mazziniane, delle quali accettava e approvava soprattutto l'idea di un'Italia unita e laica, ma nutriva sincere simpatie anche per Garibaldi, sebbene rigettasse alcune posizioni troppo "socialisteggianti". Un'altra caratteristica di Gorini fu il suo dichiarato laicismo. Profondamente scettico alle verità di fede e spinto alle più estreme posizioni dell'ateismo, per questo motivo non tardò ad inimicarsi i membri della chiesa cattolica lodigiana che, soprattutto dopo la sua morte, si scagliarono con forza contro il suo operato e le sue ricerche. A complicare il quadro probabili contatti con gli ambienti massonici lombardi, anticlericali per eccellenza. Occorre fare una precisazione: non esistono documenti comprovanti i rapporti tra Gorini e la Massoneria, ma una simbologia di chiaro stampo massonico presente sulla sua tomba dovrebbe essere certa testimonianza di legami intercorrenti tra frange della Massoneria milanese e lo scienziato lodigiano. Comunque sia, anche se solo voci, le posizioni ideologiche di Gorini erano motivo di scandalo per i benpensanti e bigotti ambienti religiosi della bassa Lodigiana, ulteriore bersaglio dei violenti e sterili attacchi del clero di Lodi.

Con la fine degli anni Ottanta l'attività scientifica e sperimentale di Paolo Gorini si insterilì progressivamente e, anche se fu costantemente e attivamente impegnato su più fronti, un lento ed inevitabile declino fisico lo portò alla morte il 12 febbraio 1881, e fu bruciato nel forno crematorio di sua invenzione, il primo costruito in Italia, nel cimitero della frazione di Riolo a Lodi .



La sala dai soffitti riccamente affrescati nel 1593 da G.C. Ferrari contiene la collezione dei preparati.












Lo splendido soffitto affrescato a grottesche venne eseguito da Giulio Cesare Ferrari nel 1593. L'autore di tale opera d'arte non ha lasciato di sé altre testimonianze, alla luce delle ricerche svolte. Tuttavia si ritiene che egli fosse allievo dell'emiliano Baglioni e il Timolati ebbe a sostenere che l'affresco, di vaste dimensioni, non potesse essere opera di una sola mano. Nacque così l'ipotesi che l'autore, Giulio Ferrari, fosse stato aiutato nel completamento dell'opera dal fratello Cesare, anch'egli artista. Le scene di caccia, i ludi e le immagini ancora ricche di favolistiche atmosfere e di sentori mitologici vennero restaurate nel 1981 dall' architetto Renato Girardi di Monza e conservano ancora lo splendore originario.
(citazione da: http://www.turismo.provincia.lodi.it/TPL_artestoria_NOTIZIA_1.asp?IDCategoria=617&IDNotizia=165)
 

A vegliare i senzanome, i loro arti, i loro visceri, le loro deformità, restano solo le grottesche affrescate da Giulio Ferrari alla fine del ’500 sul soffitto della Sala Capitolare, ispirandosi alle mostruose allegorie di Hieronymus Bosch e agli storpi di Bruegel il Vecchio: portantini che trasportano defunti sulle barelle, satiri, scene della distruzione del quartiere ebraico di Roma, pipistrelli, insetti, volpi. (citazione da:  http://www.ilgiornale.it/interni/sono_custode_cimitero_dei_morti_tramutati_pietre/22-06-2008/articolo-id=270834-page=0-comments=1)







Nel 1872 fu convocato a Pisa per la preparazione di Giuseppe Mazzini. Un giorno per ricevere il telegramma, un giorno per il viaggio: quando arrivò, il fondatore della Giovine Italia appariva sfatto, “era verde, una vescica zeppa di marcia”, come annotò Dossi. Gorini fece del suo meglio e il risultato, insperato, si poté vedere nel cimitero genovese di Staglieno nel 1946, all’apertura della bara di Mazzini in occasione della nascita della Repubblica. Eccellente fu l’esito conseguito sul cadavere dello scrittore Giuseppe Rovani, pietrificato e tumulato in un colombario del Monumentale di Milano».
«Mazzini pietrificato, reso eterno nella carne fatta marmo, rappresenta la prima vera icona politica. Il positivismo diventa scientismo, una religione laica, che ha bisogno del mistero come tutte le religioni. E il mistero è una formula non rivelata attraverso la quale si crea una reliquia laica».
(citazione da:  http://www.ilgiornale.it/interni/sono_custode_cimitero_dei_morti_tramutati_pietre/22-06-2008/articolo-id=270834-page=0-comments=1) 
Lettera di Paolo Gorini indirizzata all'Associazione dei liberi studenti Genovesi
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Fonti:
http://www.museogorini.com
www.daltramontoallalba.it
http://gorini.ath.cx/testi/3articolo-Stroppa.html
www.ilcittadino.it/p/notizie/cultura_e_spettacoli/2011/02/27/ABRusgH-gorini_ricordarlo_memoria_ritrovata.html
www.asl.lodi.it/pages/museo%20gorini/1.htm
www.turismo.provincia.lodi.it/TPL_artestoria_NOTIZIA_1.asp?IDNotizia=512&IDCategoria=680
www.turismo.provincia.lodi.it/TPL_artestoria_NOTIZIA_1.asp?IDNotizia=514&IDCategoria=680


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